TRUST ECONOMY, UNA VISIONE NUOVA DELLA FILIERA AGROALIMENTARE
Parola d’ordine: trust economy. Questo è il concetto su cui porre le basi della intera filiera del food per il futuro, secondo quanto emerso dalla discussione svoltasi al tavolo “La Nuova Linea Verde”, il 6 maggio scorso a Milano, durante i lavori di presentazione del CIRFOOD District. Fiducia tra gli attori che compongono la filiera, ma anche nei confronti del consumatore che è sempre più consapevole ed esigente.
Vediamo, dunque, come definire la “trust economy” e, in sintesi, quanto è emerso dal tavolo coordinato da Pier Luigi Romiti, responsabile delle filiere agroalimentari per Coldiretti, che ha visto la partecipazione di Massimiliano Merenda (Direttore Acquisti e Logistica CIRFOOD), Giovanni Ziliani (Senior Buyer CIRFOOD), Lauro Guidi (Presidente Consorzio Agribologna), Angelo Palma (Direttore Generale Conor Agribologna), Davide Braggion (Direttore commerciale Fileni), Massimo Fileni (Owner Fileni), Armido Marana (Amministratore delegato Ecozema) e Laura La Posta (giornalista Il Sole 24 Ore).
Trust economy: l’imperativo della fiducia tra anelli della filiera del food
È Pier Luigi Romiti a introdurre e definire il concetto di trust economy come “una visione nuova della filiera che dovrà iniziare a collaborare, i cui anelli che la compongono dovranno imparare a fidarsi reciprocamente per poter rispondere alle esigenze e alle priorità del consumatore, che sono sempre più complesse.”
Il termine, mutuato dal mondo della sharing economy, richiama la necessità di condividere, in un clima di trasparenza, informazioni tra tutti gli attori della filiera: produttori, distributori, utilizzatori finali. L’approccio della trust economy vuole superare il modello della “supply chain”, ovvero di un sistema in cui gli anelli della filiera sono semplicemente fornitori gli uni degli altri, per realizzare una “value chain”, in cui il valore di ciascun anello è riconosciuto e valorizzato.
Un sviluppo virtuoso della trust economy, secondo quanto condiviso dai partecipanti, conduce la filiera agroalimentare sulla strada della sostenibilità che, oggi più che mai, ha una triplice valenza ambientale, economica e sociale. “Occorre passare – aggiunge ancora il responsabile filiere di Coldiretti – da una logica di contrapposizione tra produttori, trasformatori e utilizzatori ad un nuovo sistema economico basato sulla collaborazione/integrazione, al fine di generare maggiore valore aggiunto e una più equa distribuzione della ricchezza all’interno della catena.”
Più tecnologia per comunicare meglio
Se l’obiettivo e il concetto sono chiari, non lo è altrettanto lo scenario normativo attuale. Ciò che è emerso durante la discussione è che il quadro legislativo sia ancora piuttosto arretrato sia dal punto di vista della trasparenza che della sostenibilità. In particolare, Armido Marana di Ecozema sottolinea che anche dal punto di vista ambientale c’è ancora molto da fare, nonostante siano state attuate strategie per la riduzione degli sprechi e sempre più spesso vengono utilizzati materiali riciclati o compostabili.
La tecnologia può essere, ed è già in molti casi, un prezioso alleato per ciascuno degli anelli della filiera dell’agrifood. Le applicazioni sono molte e, durante la discussione, ne sono emerse diverse: Davide Braggion e Massimo Fileni di Fileni, per esempio, hanno raccontato come l’utilizzo della tecnologia blockchain abbia generato dei concreti benefici per la loro azienda, sebbene a costi elevati e tutti a carico dell’impresa produttrice. Lauro Guidi e Angelo Palma di Agribologna hanno, invece, evidenziato il contributo fondamentale dell’innovazione per lo sviluppo di packaging “smart” per la frutta e la verdura. È possibile, infatti, realizzare imballaggi che garantiscano, da un lato, la trasparenza della filiera e, dall’altro, un impatto ambientale sempre più ridotto.
Infine, è ancora Romiti a ribadire come l’IOT possa essere un collegamento fra i produttori e gli utenti finali di prodotto. “In questo contesto – aggiunge – una ipotesi di progetto per il CIRFOOD District potrebbe essere quella di configurarsi come incubatore di nuove soluzioni che mettano in relazione il consumatore finale al mondo di chi coltiva, cura e produce il cibo.”
Quale ruolo per il CIRFOOD District?
Una volta appurata l’importanza di trasformare la filiera dell’agroalimentare in una value chain, trasparente e sostenibile, resta aperto il dilemma di come realizzare, nel concreto, i principi di una trust economy, da applicare in tutte le sue sfaccettature e quale ruolo può avere uno spazio di discussione, ricerca e sperimentazione come il CIRFOOD District. Un primo spunto è quello anticipato da Romiti: il distretto può configurarsi come un incubatore di progetti di start up, ma anche luogo di incontro per aziende che desiderino sviluppare strumenti innovativi per migliorare il grado di sostenibilità della filiera.
Si immagina, inoltre, che il CIRFOOD District possa diventare un punto di riferimento per lo sviluppo di nuove tecnologie legate alla food innovation. È qui che potrebbero nascere nuovi sistemi di tracciabilità della filiera, spunti per la realizzazione di packaging sostenibile, ma anche analisi approfondite dei vari anelli della “supply chain” per poterne individuare limiti e criticità al fine di trasformarla in una “value chain”.
Il CIRFOOD District può diventare, nella visione degli esperti, un laboratorio della trust economy. Un primo spazio dove fiducia, trasparenza e innovazione si concretizzano per realizzare una filiera economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile.